sabato 26 luglio 2014

Capitolo 14 - In the lair of the wolf



 
 
 
Mohandas Karamchand Gandhi



Se urli tutti ti sentono.
Se bisbigli ti sente solo chi ti sta vicino.
Ma se stai in silenzio solo chi ti ama ti ascolta.

Avvertenza:
La canzone che canta Raf è: "Belle" di Zaz
Bene... buona lettura!


Mi hai sentita Raf? ribadì Fire.
<< Ma sì che ti ho sentita… >> sussurrai rimettendomi a sedere.
<< Perché ho addosso questo cinto? >> le chiesi.
Tesoro, credo che dipendi da tua madre…
<< Cosa c’entra mia madre? >>
Beh… ecco… senti, non me la sento di dirtelo, okay? Devi scoprirlo da sola mi disse con la tenerezza negli occhi.
Annuii, ho scoperto fin troppo per oggi. Mi sdraiai e mi coprii gli occhi con un braccio.

Ti prego Dio, uccidimi pregai seriamente.
Una vecchia melodia mi tornò alla mente e mi riempì il cuore di una nostalgia straziante, le parole erano strane ma melodiose e non erano italiane. Non sapevo il motivo. Ma mi fece venire le lacrime agli occhi, mi lasciò il cuore a pezzi e l’anima in pena, come se avessi dimenticato o perso qualcosa… o qualcuno.
<< Belle… tu es si belle. >> cantai << qu’en te voyant… je t’ai aimèe. >>
Francese realizzai.

Erano parole francesi… ma io non lo sapevo il francese!
<< Belle… que j’aime tant… >> mi sfuggì una lacrima che rotolò veloce verso il lobo dell’orecchio << …depuis longtemps, je t’attendais.>> sussurrai seguendo la melodia che era nata nel mio cuore.
Che canzone è Raf? mi chiese Fire confusa.
Scesi dal letto, ignorandola. Non seppi nemmeno quel che stavo per fare finché non lo feci seriamente.
Il corridoio era illuminato solamente dalla luce soffusa dei raggi della luna, statue di angeli con grosse spade di marmo bianco e le tende nere di tessuto leggero legate assieme da un cordino all’estremità di ogni parete di vetro.
Rabbrividii, i piedi nudi e le gambe scoperte protette solo da un pantaloncino corto, una maglia oversize piuttosto trasparente che mi casca sulla spalla lasciando la pelle spoglia.
Il corridoio degli Angel finì e quello dei Devil iniziò a comparire piano piano, l’aria iniziò riscaldarsi… o ero io che stavo bruciando?
A differenza delle nostre, le stanze dei Devil erano chiuse da dei grossi portoni di legno di noce che terminavano in uno spuntone acuminato sullo stipite superiore. Le pareti erano dipinte di un rosso vinaccia inquietante e i lampadari erano fatti di cristallo nero e mandavano una luce plumbea.
A un certo punto un arco con su scritto incubatorio mi piombò davanti.
RAF COSA STAI FACENDO!!!! strillò Fire.
<< Voglio solo controllare una cosa… >> le sussurrai.
Nell’incubatorio?!?! mi chiese sfidandomi.
<< No. >> Fire tirò un sospiro di sollievo << Nella stanza di Sulfus. >> continuai con decisione.
Lei per poco rischiò di strozzarsi.
Che è sempre nell’incubatorio! replicò tossendo. Non le diedi retta e superai l’arco.
Una cinquantina di porte costellavano le pareti, nella parete sinistra c’erano le camere per le ragazze mentre quelle della parete destra nascondevano le camere dei ragazzi. Mi diressi alla parete di destra, su ogni porta c’erano scritti due nomi dorati incisi in un pezzo di legno un po’ più chiaro e rossastro di quello della porta, penso sia ciliegio ma non ero certa, attaccati con un chiodo, un nome per tutte e due le ante del portone. Scorsi velocemente i nomi con gli occhi affaticati ma svegli.
Wilfheart-Alexander, Tristan-Kane, Azrel-Zenith, Drakul-Farseer, Sargon-Christian, Grimoir-Thurstan, Nigel-Viktor.
All’ottava porta mi fermai.
Sulfus-Gas.
Guardai quei due nomi per un po’, totalmente concentrata.
E se non ci fosse?
Scossi la testa e feci un passo indietro. Cosa stavo facendo! Se mi beccano mi puniranno! Non è da me!
Feci un altro passo indietro e mi incamminai lontano da quella stanza.
<< Souviens toi... du temps où tu venais, chaque soir pour me rencontrer... >> sussurrai.
La melodia risuonò più forte nella mia testa, obbligandomi a rallentare. Dai Raf! Sei venuta qui per una ragione, no? Vuoi mollare proprio adesso? mi auto-rimproverai.
Mi guardai alle spalle e sospirando scossi la testa, sconfitta.
Tornai davanti alla porta della sua stanza e sfiorai con i polpastrelli la scritta dorata incisa nel legno. Chiusi gli occhi e appoggiai delicatamente il palmo della mano sul legno della porta.
<< Tu passais… si belle que j’en revais. Tu le sais, mon amie… je t’amais. >> mormorai aprendo gli occhi e spinsi la porta con decisione.
Entrai in punta di piedi e richiusi la porta dietro di me.

 
Due lettoni a baldacchino con coperte rosse e nere stavano uno di fronte all’altro, uno era vuoto mentre nell’altro…
Un corpo snello e atletico, delle braccia forti ma non eccessivamente muscolose, un petto abbastanza scolpito da mettermi in agitazione e un viso con degli occhi grandi e espressivi, una bocca carnosa e una mascella squadrata.
Arrossii leggermente e abbassai la testa.
Sulfus era sdraiato sopra alle coperte perfettamente intatte, le braccia incrociate dietro alla testa, una gamba piegata e il viso rilassato. Respirava lentamente e in modo regolare perciò immaginai che stesse dormendo.
Mi avvicinai lentamente e mi fermai ai piedi del letto.
Indossava una canottiera color antracite che metteva in risalto gli addominali scolpiti, pantaloni di una tuta neri, una piastrina militare argentata e sul collo si poteva intravedere anche la catenina nera di un’altra collana che però teneva sotto la canottiera, attaccata alla pelle.
Mi sedetti sul bordo del letto, accanto a lui.
Belle, oh ma si belle… tu t’en allais, sans m’écouter.” Cantai mentalmente ma non osai emettere un suono.
Allungai una mano, lentamente. Era più forte di me, non riuscivo a resistere.
Appoggiai delicatamente una mano sul suo petto, sopra alla piastrina militare, sentii una vibrazione sui polpastrelli, una sorta di attrazione chimica.
Feci scorrere dolcemente la mano sui suoi addominali e mi morsi il labbro inferiore per cacciare indietro un gemito di piacere. La mia mano scivolò più giù, fino ad arrivare al bordo della sua maglietta.
La tirai leggermente su, facendo pianissimo e ancora più piano gli scostai di un poco i pantaloni. Sulla pelle c’era la traccia di un tatuaggio a forma di goccia, con la punta rivolta verso il basso. Uguale al mio.
Oh mio Dio…
Soffocai un singhiozzo ma non allontanai la mano.
Tranquilla, non lo hai legato. Non l’hai baciato ma ci sei andata vicino, per questo il marchio è così sussurrò Fire.
Sfiorai delicatamente la pelle dei suoi addominali, tracciando i contorni della goccia, la sua pelle liscia scivolava perfettamente a contatto con la mia. La mano mi pizzicava, vibrava e bruciava al tempo stesso, probabilmente per effetto del Veto. Eravamo in forma sempiterna dopotutto…
Tirai via la mano e gli accarezzai dolcemente la guancia con il dorso delle dita, spostandogli una ciocca di capelli corvini. Cavolo com’erano morbidi!
 Un’ondata di tenerezza mi prese il cuore, tenendolo stretto in una morsa languida.
<< Belle, je t’attendrais… pendant longtemps, tu es si belle. >> sussurrai.
Sospirai e feci per allontanare la mano e alzarmi ma una mano mi bloccò il polso, facendomi cadere di nuovo addosso a lui.
Sulfus aveva gli occhi aperti adesso. Due occhi pieni di confusione e curiosità.
Arrossii violentemente e abbassai la testa, lasciando che i capelli mi coprissero parzialmente il viso.
<< Cosa ci fai qui Angelo? >> sussurrò lui, un mormorio basso e sexy da morire.
Beccata! sospirò Fire scuotendo la testa.

Nessun commento:

Posta un commento