sabato 26 luglio 2014

Capitolo 37 - Forgivess

Arckan prese dalla tasca della tunica bianca immacolata un piccola sfera di cristallo.
Brillava così tanto da far invidia alle stelle che questa notte si erano rintanate sotto una folta coltre di nubi nero grigiastre che sapevano di pioggia.
La buttò a terra e la sfera si ruppe liberando una specie di nebbia bianca, evanescente. Il fumo denso e vischioso vorticò un po' e alla fine si riunì a formare una gemma.
Arckan spiegò le ali e le fece muovere con un brusco scatto in avanti, sprigionando un vento che divise in due la gemma provocando uno squarcio di luce così luminoso che fui costretta a mettermi una mano sugli occhi per non ferirli.
La luce si affievolì ma rimase ancora una venatura in mezzo alla foschia bianca.
« Forza vai. » disse Arckan mettendomi una mano sulla schiena per sospingermi.
Mi schiarii la voce.
Che cosa c'era al di là della luce?
« Coraggio… »
Lo guardai.
Aveva il viso rilassato, senza alcuna traccia di tensione o preoccupazione quindi forse non era nulla di così terribile… forse.
Perché io a volte… molte volte sbaglio.
Annuii piano e lentamente camminai verso la squarcio.
Riuscivo a udire una specie di fischio e dei campanellini leggeri che suonavano… mi ricordò il portale che avevamo noi ad Angie Town… ma questo era diverso.
L'aria attorno a me divenne pesante ed elettrica, la temperatura calò drasticamente e vidi con la coda dell'occhio i miei capelli riempirsi di brina.
Quando fui a un soffio dallo squarcio sentii uno strattone allo stomaco e il respiro mi si bloccò nei polmoni.
Un flash e una strada mi piombò davanti.
Una strada immersa tra i palazzi grigi e abbandonati, il cielo nero come l'inchiostro, uno spicchio di luna a illuminare a malapena il paesaggio.
Feci qualche passo nella strada che mi era apparsa, dei corvi gracchiarono e si posarono sui rami di un albero ormai secco e morto. Gli artigli graffiavano il legno lasciando dei segni più chiari sulla corteccia.
Come mai tutto questo mi era familiare?
I corvi scossero le piume e le arruffarono con aria minacciosa fissando qualcosa dietro di me, un corvo gracchiò più forte e spiccò il volo seguito dagli altri.
Qualcosa di caldo mi strinse una spalla e un gridò soffocato mi sfuggì dalla gola ma una mano mi tappò la bocca.
« Ssh vuoi svegliare tutti? » disse con calma qualcuno alle mie spalle.
Gli morsi la mano per fargli mollare la presa e mi allontanai velocemente.
« Stai ferma… » mi ribadì.
La guardai.
Era una ragazza che doveva avere sì e no la mia stessa età e come me era molto minuta.
Aveva i capelli neri cortissimi sulla nuca con qualche ciocca più lunga sul davanti a incorniciarle il viso quasi infantile. Gli occhi erano grandi ed espressivi, le iridi mi ricordavano il colore della terracotta.
Si mise le mani sui fianchi e mi squadrò con calma, poi sussurrò: « Sei qua per il test? ».
Test?
« Ehm… » esitai.
Lei non si scompose e si soffiò via una ciocca di capelli dal viso.
« Allora? »
Oddio…
« Ecco… io… » balbettai rischiando di andare nel panico.
Lei era completamente inespressiva, come se fosse una macchina che aveva un compito ben preciso da svolgere e non riconoscesse in nessuno delle persone.
Feci per dire qualcosa ma venni subito interrotta.
« Certo che è qua per il test, Cora. » disse qualcuno dalla voce molto familiare.
Guardai alle spalle della ragazza e una chioma di capelli castano ramati e degli occhi verdi mi vennero incontro.
« Secondo te per che cos'altro dovrebbe essere qui? » le chiese ironicamente Lucien.
Cora si girò ma, a parte un piccolo guizzo all'angolo della bocca, la sua espressione non cambiò.
« Io ho un compito, tu non dovresti interferire. » disse incrociando le braccia al petto per proteggersi dal vento gelido che ci aveva travolte per un attimo.
Lucien rise sommessamente.
« D'accordo, hai ragione. Ma è da stamattina che sei qua perché non ti vai a fare una bella dormita e ti rilassi un po'? Ci penso io qui. »
Cora borbottò qualcosa che somigliava molto a un: « Certo tanto il dottore sei tu. ».
Ma se ne andò verso un edificio con le finestre ancora intatte… più o meno.
« Ma dove… ? » mormorai guardandomi attorno.
« Domum. » disse Lucien.
Lo guardai.
Aveva i capelli un po' arruffati ed era completamente vestito di nero.
« Sei nel Domum. »
Domum?
Cioè proprio il Domum che intendevo io?
« Cioè quella specie di struttura dove va chi non vuole essere un custode? » chiesi.
Lo conoscevamo tutti ad Angie Town ma la mia era una famiglia di custodi.
Era naturale che non l'avessi mai preso in considerazione.
Annuì passandosi una mano tra i capelli con aria stanca. Un corvo dietro di lui gracchiò.
Lucien gli diede un'occhiata e con una smorfia mi afferrò una mano.
« Andiamo, non è sicuro stare qua fuori. » sussurrò e mi guidò verso l'edificio di fianco a quello in cui era entrata Cora poco fa.
Aprì una porta di metallo stranamente senza nemmeno un'ammaccatura o ruggine.
Mi guardai attorno.
I palazzi anche se abbandonati sembravano intatti…
Non erano tutti grigi ma il colore prevalente era quello.
Entrammo dentro all'edificio e un sapore metallico mi invase la bocca.
Era gigantesco… largo come un campo da calcio e il pavimento era di un vetro pulito e spessissimo,  le finestre lasciavano entrare un po' di luce ma la vera luce la emanavano delle specie di sfere azzurre e bianche che nuotavano nell'acqua sotto il vetro.
L'effetto sulle pareti lisce e nere era stupendo.
Lucien ridacchiò a vedere la mia espressione sorpresa.
« Già la prima volta è sempre sconvolgente. » disse scuotendo bonariamente la testa.
« Ma da fuori non si vede nulla… come è possibile? » mormorai.
« Le finestre non lasciano uscire la luce, la lasciano solo entrare. » mi spiegò mentre camminavano su quel pavimento di vetro e acqua.
Rimanemmo in silenzio per un po'.
Non mi fidavo completamente di Lucien… era… beh… aveva cercato di saltarmi addosso cavolo ce n'era da essere diffidenti.
Passarono alcuni minuti  e alla fine lui sospirò.
« Scusa. » sussurrò.
Alzai lo sguardo dal pavimento ma all'inizio non dissi nulla.
« Mi stavi per violentare Lucien. » dissi con la voce che tremava per la rabbia.
« Lo so' e mi dispiace te lo giuro. Ma ho dovuto farlo… » sembrò in difficoltà perché si passò una mano fra i capelli.
Sospettavo che lo facesse solo quando era nervoso.
Nei suoi occhi c'era rabbia e rimorso.
Ma la rabbia non sembrava indirizzata a me… sembrava più rabbia verso se stesso, e repulsione.
« Diciamo che è un vizio di specie… anche te ne eri piuttosto tormentata. » disse infine con un sorriso amaro.
« Io non faccio certe cose! » ribattei punta sul vivo.
Lucien rise, una risata triste.
« Sì invece solo che non lo sai. Ma è inutile parlarne tanto non servirebbe a niente. » sospirò lui alzando gli occhi al cielo.
Non dissi nulla, non avevo voglia di litigare.
Mi limitai a incrociare le braccia al petto mettendomi in modalità broncio.
Lui ridacchiò alzando gli occhi al cielo e lo superai accelerando il passo, irritata.
« Attenta. » disse a un certo punto tirandomi per un braccio.
Quasi persi l'equilibrio ma riuscii a restare in piedi aggrappandomi a lui.
« Cosa? » chiesi spazientita ma si limitò a fare un cenno della testa verso qualcosa.
Guardai il pavimento di fianco a me e capii il perché di quella reazione.
C'era un buco l'argo dieci metri all'incirca e profondo… non lo sapevo.
Era impossibile dirlo.
Era così buio che sembrava una chiazza di petrolio in mezzo all'acqua del pavimento.
« Che cosa c'è là dentro? » chiesi mentre lo aggiravamo.
Lucien si strinse nelle spalle.
« Le camere dei demoni. » rispose.
« Cosa! E come fanno a risalire? »
Rise e scosse la testa.
« E chi lo sa! Solo loro ci riescono! »
Scrutai la stanza con più attenzione.
Era veramente immensa…
Una specie di cavità nel muro alla mia destra attirò la mia attenzione, sembrava l'ingresso di una grotta… la pietra era nera ma delle gemme di tutte le tonalità del rosso la impreziosivano, sul pavimento vicino all'entrata c'era uno strato di brina che riprendeva il colore delle gemme.
« Quello è un portale. » disse Lucien prima che potessi chiederglielo.
« Un portale che porta nel cuore della città dei Praesidium. Ma lì potranno andarci solo quelli cui il test avrà indicato la predisposizione alla protezione altrui. » mi spiegò.
Il Test.
Che cos'era questo test di cui tutti parlavano?
« E che cosa sono i Praesidium? »
Lucien ci pensò un po' ma alla fine rispose.
« Sono i "protettori" per così dire del mondo intero. Rimarresti sconvolta dal vedere, oltre il mondo degli angeli, dei demoni e degli umani, quali altri mondi ci sono e alcuni sono davvero… ma davvero pericolosi. » mormorò portandosi istintivamente una mano alla spalla.
Non dissi nulla… non ero così insensibile.
« Mentre quello è il portale che porta nella città dei Meriteori. Ovviamente solo chi avrà la predisposizione e la capacità di curare andrà in quella sezione. » continuò scuotendo la testa per scacciare non so quali pensieri che  gli avevano assalito la mente, indicando la parete opposta.
C'era una grotta identica a quella di fianco a me, solo che le gemme erano di tutte le tonalità di blu anziché di rosso.
« I Meriteori hanno il compito di curare i sempiterni e assicurargli cibo, acqua e case. Molti lavorano assieme ai Praesidium, il motivo è evidente. » mi spiegò.
Annuii, ovviamente combattendo ci si fa male e si spendono molte energie.
« E infine quello è il portale che porta dagli Eligiti. »
Il portale era nella parete di fronte a noi e le pietre erano viola.
Aspettai una sua spiegazione ma non disse nulla.
« E chi sono gli Eligiti? » incalzai.
Sospirò.
« Sono i "consiglieri" per così dire. Controllano che i Custodi, i Praesidium e i Meriteori facciano il proprio lavoro e che collaborino in sintonia. In alternativa fanno i consiglieri di Dio o di Satana in persona. » mi spiegò e poi fece una smorfia.
« Diciamo che non ti vanno proprio a genio, vero? » chiesi.
Lui si strinse nelle spalle.
« Il mio dipartimento è quello dei Meriteori… ecco siamo arrivati. » si fermò affianco a una specie di ripiano nero con sopra una specie di gigantesca coppa di marmo bianco che mi arrivava allo stomaco.
Mi sporsi per guardare dentro.
C'era dell'acqua talmente pulita che quasi non si vedeva.
Lucien tirò fuori un coltello dalla cintura e si tagliò il palmo della mano, il sangue sgorgò prontamente dalla ferita e lui chiuse il pugno per non farlo fuoriuscire.
Mi porse il coltello ed io lo afferrai, un po' incerta.
« Tagliati il palmo come ho fatto io. » mi disse.
« Perché? »
« Quest'acqua è come un lucchetto che chiude la porta delle nostre camere. Serve il DNA degli angeli per aprirla… » mi spiegò e si interruppe un attimo come a cercare le parole giuste.
« … beh per noi ci vuole un po' di sangue in più per aprirla perché il nostro DNA è… diverso. »
Mi morsi le labbra a quell'ultima affermazione.
Ma non chiesi spiegazioni semplicemente perché avevo paura che la furia che mi era cresciuta dentro mi avrebbe fatta gridare.
Feci un respiro profondo e ad occhi chiusi mi tagliai il palmo sinistro. Non vidi la lama entrare però la sentii perfettamente, fredda e precisa.
Mi sfuggì un gemito e riaprii gli occhi chiudendo la mano a pugno come aveva fatto Lucien.
La ferita iniziò e pulsare e a bruciare.
Lo guardai.
« Assieme? »
Annuì e mise il pugno sopra l'acqua, lo stesso feci io.
« Quando l'acqua riconoscerà il nostro DNA saremo direttamente nelle nostre camere. Per ritornare qua dovrai fare esattamente la stessa cosa che stiamo facendo adesso, d'accordo? »
Annuii fissandolo, pensierosa.
Un milione di pensieri mi vorticarono nella mente e alla fine, sospirando, dissi: « Lucien…? ».
Lui mi guardò ed io sorrisi.
« Ti perdono. »
È giusto così diceva il mio cuore mentre la mia mente avrebbe voluto affogarlo.
Lui rispose al mio sorriso con uno un po' più timido.
Ma poi ritornò serio.
« Pronta? »
Annuii.
« Uno… due… tre. » contò lui e al tre schiudemmo i pugni lasciando mescolare il nostro sangue con l'acqua.
La testa prese a girarmi, lo stomaco si contrasse e una sensazione di freddo mi stuzzicò la pelle.
Quando riaprii gli occhi mi ritrovai in una camera, piccola ma bellissima.
Il pavimento era lo stesso, luminoso e accogliente, le pareti però sembravano estendersi all'infinito.
Erano decorate con tanti puntini luminosi che formavano costellazioni e alzando lo sguardo riconobbi un frammento della via lattea.
Una vista stupenda.
Il letto era addossato alla parete, e fu grazie a quello che capii che l'illusione ottica era dovuta alla forma delle pareti.
Erano una cupola.
Le lenzuola del letto erano nere con delle decorazioni di filigrane ricciolute di un bianco fosforescente.
In mezzo alla camera c'era la gigantesca coppa di marmo bianco e affianco al letto un comodino con una brocca con dentro quella che doveva essere acqua e un bicchiere. No nero completamente sicura che fosse acqua comunque…
Perché c'era un liquido trasparente sì è vero ma era azzurrognolo, come se fosse illuminato.
Curiosa e assetata mi versai un po' di quel liquido nel bicchiere e lo bevvi.
Era acqua ma… diversa. Più buona.
Prosciugai il bicchiere avidamente e me ne versai un'altro po'.
Mi sedetti sul letto appoggiando la schiena al muro, il bicchiere stretto fra le mani.
È stata una notte veramente ma veramente sconvolgente.
Presi un'altro sorso d'acqua.
Chissà cosa avrebbe detto il professore a Uriè, Dolce e Micky.
Avrebbe detto la verità?
Poco probabile.
Sospirai e chiusi gli occhi, sfinita.
Mi mancavano…
Con gli occhi della mente rividi Sulfus. E lui? Anche lui ha fatto la mia stessa fine?
Lo avrei rivisto?
Probabilmente no ma la speranza è l'ultima a morire.
Mia madre me lo diceva sempre.
Anche quando vuoi non sperare perché sai che poi sarai deluso inconsciamente speri e speri finché non ti si presenta davanti agli occhi la realtà dei fatti.
E lì sì che soffri se le cose non vanno per il verso giusto.
Scossi la testa per scacciare quei pensieri, riaprii gli occhi e posai il bicchiere sul comodino di cristallo.
Spostai le coperte e mi infilai nel letto.
Mi chiesi come avrei fatto a dormire con tutta quella luce ma con la cosa dell'occhio vidi un pulsante rotondo fatto di plastica spessa.
Lo premetti, era morbido, e la luce si affievolì piano piano ma non si spense del tutto, lasciando una luce piacevole e rassicurante.
Sospirai e chiusi gli occhi.
Il suo viso fu l'ultima cosa che vidi prima di cadere in un sonno sfinito.

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